A qualcuno piace strana

Chiunque si sia affacciato da abbastanza tempo nel mondo della birra craft
sarà entrato in contatto con almeno una birra “strana”.
In un mercato e in una società dove chi si distingue vende, spesso alcuni cercano di farlo non con birre senza difetti o realmente deliziose quanto piuttosto cercando di stupire i potenziali clienti, incuriosendoli con ingredienti particolari, insoliti o magari esotici.

Di chiare operazioni di marketing siamo stati testimoni diverse volte in questi anni:
se per esempio la ITA (Italian Tomato Ale) di Carrobiolo, una birra con il 33% di datterini e un dry hopping di basilico o la Wye della Thornbridge, una pale ale con cetrioli, sono particolari ma comunque ben studiate e deliziose (ho avuto la fortuna di assaggiarle entrambe), altre, come la This Big Ass Money Stout di Lervig, un’imperial stout con aggiunta di pizza surgelata e vero denaro (100$ e diverse banconote norvegesi), faticano a trovare un senso ai miei occhi.

Tuttavia non bisogna pensare che il mondo birraio sia nuovo a queste stranezze:
il  passato ha saputo regalarci diverse perle.

La Dock Ale.

La Dock Ale è un’altra birra piuttosto insolita.  Brassata nel 1600, usava aghi di pino al posto del luppolo, affiancata a radice di romice e foglie di rafano.
La romice veniva usata per curare le punture di ortica nei bambini.

Le erbe, messe in un sacchetto, venivano usate in fermentazione, prima che questa fosse terminata.

 

Brindisi tossici.

Alcune delle miscele di erbe usate nell’antichità erano decisamente meno innocue.
E’ il caso della birra Henbane, risalente forse al Neolitico e che conteneva il giusquiamo nero.
Questa pianta è così pericolosa che persino l’odore dei suoi fiori può provocare vertigini.
Poche decine di grammi erano usate per singolo barile, dando effetti di intossicazione del tutto simili ai moderni antidepressivi, con effetti come felicità, allucinazioni, alternanza dell’umore.
Tuttavia meglio fermarsi al primo brindisi: berne in quantità può risultare fatale.

Ye Olde Cock Ale.
Il gallo è sempre stato un simbolo presente nelle insegne dei pub inglesi o nelle etichette, ma nel 1700 era presente anche nella birra.
Traduco la seguente ricetta da un libro del 1727, “La guida completa per la casalinga o la gentildonna”, un libro di ricette di tutti i tipi che riporta quanto segue:

Prendere tre galloni di birra e un grosso gallo, più è vecchio meglio è; bollitelo, scorticatelo e schiacciatelo in un mortaio di pietra finché le sue ossa non siano spezzate (dovrete eviscerarlo quando lo scorticate); mettetelo in un sacco da tre quarti, e assieme tre libbre di uvetta essicata al sole, qualche lama di macis, e alcuni chiodi di garofano; quando la birra sta per finire di lavorare , mettete assieme la birra e il sacco in un contenitore; in una settimana o nove giorni imbottigliate; riempite le bottiglie ma solo sopra il collo, e datele il tempo di maturare come le altre birre.

E’ nato prima l’uovo.

Un’altra birra particolarmente insolita vede l’uovo come ingrediente centrale.
Il mosto veniva preparato come sempre, e una volta nel fermentatore veniva aggiunta una pastella a base di uova e farina, che avrebbe “regolato la fermentazione della birra”.
Probabilmente, la farina conteneva abbastanza lieviti selvaggi per colonizzare il mosto.
Questa birra piuttosto densa e decisamente acida veniva bevuta mentre era ancora in fermentazione, e sembra che i suoi sostenitori non ne avessero mai abbastanza.

Guinnes e ostriche.

Agli inizi del 1900 la birretta occasionale era per definizione la stout, chiamata spesso la go-to beer. Molte volte gli avventori accompagnavano il drink con delle ostriche, uno snack da pub che all’epoca era molto economico e molto diffuso, tanto che la Guinness uscì con una pubblicità che recitava “Opening time is Guinnes time – Guinness and oysters are good for you” .
Quindi spesso le ostriche erano accanto alle pinte di stout. Come ci siano finite dentro, invece, è meno certo.

Per chiarificare le loro Ales i birrai inglesi hanno sempre usato prodotti di derivazione marina, come la vescica di pesce, le alghe irlndesi o i gusci delle ostriche.
I gusci delle ostriche, se usati in quantità, impartivano un delicato sapore marino e una leggera sapidità che ben si sposava con il tostato delle stout: per birre più corpose e saporite, come le oatmeal stout, usare anche i molluschi per avere un sapore più forte dev’essere sembrata una naturale evoluzione.
E anche azzeccata, visto che lo stile esiste ancora oggi e conta diversi appassionati.

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